Arresti domiciliari, servizi sociali, fogli di via: tutti strumenti puramente ideologici che non aiutano minimamente a contrastare la realtà dei reati di strada.
Roma, mercoledì 4 settembre. Una banda di rapinatori che hanno appena compiuto l’ennesimo furto in una casa di periferia viene intercettata dalla Polizia. I tre ladri scappano con un’auto a noleggio (affittata da un cubano di 31 anni) verso l’autostrada A24, dando vita ad un pericoloso inseguimento durante il quale tentano anche di speronare ripetutamente l’auto della Polizia alle loro calcagna. Dopo aver effettuato numerose manovre pericolose, coinvolgendo anche auto di ignari automobilisti, il bandito alla guida perde il controllo e finisce per schiantare l’auto contro un muretto di contenimento. I tre a bordo si danno alla fuga a piedi, attraversando anche l’autostrada mettendo a repentaglio sé stessi, gli automobilisti in arrivo e soprattutto gli Agenti al loro inseguimento. Alla fine uno dei tre viene bloccato (un cileno di 20 anni); questi cerca di strappare al Poliziotto la pistola d’ordinanza, fortunatamente il sopraggiungere di altri Agenti mette rapidamente fine alla colluttazione ed il malvivente viene arrestato. Nell’auto, oltre ai tipici attrezzi da scasso, vengono trovate bende e nastro isolanti che servivano a bloccare ed imbavagliare i proprietari delle abitazioni sorpresi in casa durante le rapine.
Si tratta dell’ennesimo inqualificabile evento che accade in Italia ad opera di una banda di stranieri che mettono a rischio la vita del prossimo senza alcuno scrupolo; ma il punto, per quanto grave, non è questo. Il punto è che il Tribunale di Tivoli, dopo aver convalidato l’arresto, ha posto semplicemente ai domiciliari il cileno, nonostante la sua evidente pericolosità sociale.
Ecco; il fulcro della vicenda è tutto qui: ed è la presenza di leggi completamente inadatte alla realtà che viviamo tutti i giorni e che non mettono assolutamente sul giusto piano e nella giusta prospettiva il reato e la relativa pena (o misura cautelare, in questo caso).
In Italia, oggi chi delinque non sconta nessuna condanna impattante. Non si va in carcere se non per condanne sopra i cinque anni di detenzione (e devono essere passate in giudicato); in tutti gli altri casi si sta a casa propria o si presta servizio (per modo di dire) “lavorando” presso strutture riabilitative; e nella maggior parte dei casi si hanno forti sconti di pena. Poi, dal punto di vista delle sanzioni amministrative, queste persone sono sempre nullatenenti (anche quando, come nel caso dei campi nomadi, sono state trovate auto sportive di grossa cilindrata). Insomma, anche per chi è colto in flagrante, come il cileno con cui abbiamo iniziato l’articolo, c’è uno scappellotto, un rimprovero e via, un rilascio che nei fatti incentiva a delinquere nuovamente.
Non è quindi un caso che circa il 50% dei detenuti siano stranieri e che fra i denunciati questa percenutale salga ancora, visto che tutto sommato gli italiani qualcosa da perdere ce l’hanno e preferiscono di norma puntare a reati più remunerativi ma più elaborati.
Sono numeri e fatti che solo chi non vuole vedere il problema può pensare di contestare, mancando di capire che il problema non è “il colore della pelle”, ma il fatto che chi delinque deve scontare una pena dura e senza sconti. Invece in questi giorni da sinistra (ma anche dal centro) si fa un gran vociare sulle condizioni delle presunte condizioni di vita nelle carceri.
Curioso: negli ultimi venti anni, periodo durante il quale il fenomeno della microcriminalità si è fatto più sentito ma che, a causa della mancanza di risposte dello Stato, ha visto il numero di denunce non aumentare, a governare era proprio la sinistra.
Quindi sono lecite e importanti una serie di domande che probabilmente hanno una risposta evidente: perché negli ultimi venti anni numerose carceri sono state smantellate? Perchè non ne sono state costruite delle nuove? Perchè non si è investito sulle strutture ancora in essere e nel potenziamento della Polizia Carceraria? Perché si è deliberatamente e costantemente delegittimato l’operato delle Forze Dell’Ordine tramite campagne politiche e giornalistiche? Perché si sono modificate le leggi affinchè siano pochissimi i colpevoli che finiscano realmente a scontare una pena di qualche sorta, e si rimette invece in libertà chi delinque? Perchè si è sovvertito l’ordine naturale delle cose alla base di ogni società, che per sopravvivere ha bisogno di regole nette e in questi casi intransigenti?
Forse ad una buona parte di italiani questo scempio piace e fa comodo. Non è un caso se l‘eroina delle occupazioni abusive delle case, Ilaria Salis, ha trascinato un partito come AVS quasi al 7% alle scorse europee, o se PD e M5S difendono da sempre l’immigrazione illegale; per non parlare poi della vicinanza di molti esponenti della sinistra italiana al mondo delle droghe e di quanto tentino di liberalizzarne l’uso, o siano pronti a scagliarsi contro le Forze dell’Ordine non appena ce ne sia l’occasione.
Si è perso il punto centrale della questione: chi delinque deve pagare duro, e non lamentarsi di presunte condizioni carcerarie inadatte. Chi ha condanne penali passate in giudicato (e, a seconda del tipo, anche civili) non dovrebbe avere né diritto di voto né tantomeno potersi presentare come candidato politico: è talmente evidente il conflitto di interessi che solo chi è in malafede può ignorarlo.
È veramente impossibile utilizzare in Italia gli stessi metodi che vigono nei Paesi in cui ci si guarda bene dal commettere reati? È forse un caso che tutte le democrazie occidentali siano nel caos e vivano continui disordini? Si può, quindi e finalmente, capire che i diritti civili per i condannati per reati contro la persona e la proprietà non possono valere e che chi delinque deve essere conscio che, se catturato, deve scontare una pena dura e potenzialmente definitiva, utile anche a scoraggiare eventuali emuli? E soprattutto: quando, questo governo, avrà finalmente il coraggio di mettere in atto le azioni per cui è stato scelto dai cittadini?